Premessa: vista l’inestinguibile attualità dell’argomento, pubblico copia della mia ricerca presentata al Convegno Nazionale “Nuovi Codici del Lavoro” del 29/30 Aprile 2010. Invito chi fosse interessato all’argomento ma non alla parte metodologica a passare direttamente al paragrafo 7 “Considerazioni conclusive”.

  • Poster presentato al convegno
  • Introduzione e descrizione del contesto socio-culturale
  • Obiettivi
  • Metodo
  • La ricerca
  • Partecipanti
  • Analisi dei dati e Risultati
  • Considerazioni conclusive
  • Bibliografia

1 – Introduzione e descrizione del contesto socio-culturale

Negli ultimi decenni della storia italiana, le riforme alle leggi che regolano il mercato del lavoro sono state fra gli eventi legislativi più discussi a causa della ben nota centralità del lavoro nella vita quotidiana. Esso, infatti, non solo consente all’individuo di avere un reddito per soddisfare i propri bisogni – che è l’aspetto più ovvio – ma è soprattutto un tramite per la realizzazione personale, un’istituzione, un obiettivo cui ambire.

Il risultato è un cambiamento radicale rispetto agli anni ’70, caratterizzati dalla produzione di massa e dal modello taylor-fordista, giungendo ad una nuova situazione ancora in evoluzione e caratterizzata dalla flessibilità richiesta sia alle aziende, in termini di produttività e adattabilità, che al lavoratore. Questi può, infatti, ritrovarsi ad operare in nuove condizioni lavorative, che finiscono per influenzare il suo benessere psicologico e le sue credenze.

Secondo Accornero (2000), tale cambiamento ha comportato consistenti difficoltà per tutte le imprese che, in risposta ai nuovi costi di produzione, hanno ridotto al minimo il personale diretto alle proprie dipendenze (core-workers), impiegando al contempo manodopera fornita temporaneamente da ditte esterne (contingent-workers), che così operano congiuntamente pur facendo capo a società diverse. In questo contesto, il lavoro è sempre più cooperativo, cognitivo e con skills più polivalenti, quindi meno di manovalanza e specialistico. Il risultato è una maggiore autonomia per i lavoratori, anche se entro un reticolo di norme e procedure molto rigido e fitto. Ciò si riflette anche nei rapporti di lavoro moderni, meno subordinati e durevoli a causa dell’impetuosa crescita del numero di contratti di lavoro atipici e del calo di quelli a tempo indeterminato, rimasti una garanzia (ma chissà ancora per quanto) prevalentemente nelle amministrazioni pubbliche.

Queste novità destabilizzano i tradizionali rapporti di lavoro e uno dei rischi più sentiti è la “precarizzazione”, cioè la fine del “posto fisso” che, per molti europei ed italiani, costituisce quasi un diritto di cittadinanza. In un Paese a disoccupazione endemica come l’Italia, questo era un modello di protezione che, basandosi sul diritto al lavoro sancito dalla Costituzione, tutelava soprattutto i capifamiglia maschi adulti impegnando lo Stato come occupatore di seconda istanza.

Tuttavia, se uno scenario di “precarizzazione” spinto non conviene nemmeno alle imprese, che necessitano di un cuore di dipendenti fidati, i contratti a termine aumentano sia come strumento più efficace rispetto al tradizionale periodo di prova, affermandosi come nuova routine di ingresso al lavoro, sia come strumento per tenere sotto giogo il lavoratore.

Ne consegue che, anche se la transizione in corso non comporta né la sparizione del lavoro né la fine dei posti, vi è un peggioramento globale sia perché la tutela tradizionale non può coprire impieghi così instabili e tragitti discontinui, sia perché l’attuale scenario intacca quelle certezze sociali così faticosamente raggiunte nel Novecento.

In particolare, riguardo al contesto italiano, la “Riforma Biagi” rappresenta un forte tentativo – per taluni non riuscito (cfr. Boccia, 2007) – di regolamentare un mercato del lavoro così complesso e difficile. Infatti, ai lavoratori è richiesto di adattarsi alle nuove esigenze di flessibilità, pur essendo spesso privi degli strumenti per costruirsi una carriera e una continuità tra lavori eterogenei e incoerenti l’uno con l’altro. Inoltre, l’interruzione forzata tra un lavoro e l’altro incide significativamente sulla qualità della vita delle persone, perché causa incertezza e rende molto più difficoltoso raggiungere traguardi come la realizzazione di una famiglia autonoma da quella di origine.

In generale, quindi, ci si chiede se il precariato sia una nuova realtà cui ci si debba abituare, utile per combattere la disoccupazione, oppure se costituisca un ostacolo alla realizzazione personale. In questa sede, soprattutto, ci si chiede quale sia l’impatto psicologico sui lavoratori, che si riflette direttamente nella soddisfazione lavorativa percepita dagli stessi e indirettamente nella modifica dei valori generali del lavoratore. Si parla di valori personali poiché si parte dall’assunto condiviso che essi siano collegati con quelli professionali (Bellotto, 1997; Schwartz, 1999), con una particolare configurazione cognitiva che produce una similarità strutturale tra i due (Elizur e Sagie, 1999) o che vi sia un’interazione dove una delle due tipologie di valori genera la seconda (Selmer e De Leon, 1996).

2 – Obiettivi

Il presente lavoro di ricerca, di natura prevalentemente esplorativa, ha preso forma dagli elementi appena esposti, soprattutto considerando le caratteristiche d’insicurezza e autonomia del lavoro atipico, opposte alla sicurezza ma anche alla maggiore rigidità di quello tradizionale. Così è stata condotta un’indagine sui possibili livelli di soddisfazione lavorativa, confrontando quelli dei nuovi lavoratori atipici con quelli dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Inoltre, si vuole conoscere l’orientamento dei valori caratteristici delle due tipologie di lavoratori, per constatare la presenza di eventuali conflitti tra valori o la predominanza di un orientamento valoriale sugli altri.

Per questo scopo, sono stati somministrati due questionari ad un campione non probabilistico composto da 388 lavoratori, impiegati presso vari Enti pubblici ed organizzazioni private, concentrate per la maggior parte nella provincia di Cagliari, come illustrato nel seguente paragrafo.

3 – Metodo

Il modello teorico di riferimento per i valori è quello proposto da Schwartz (1992). Rifacendosi alla concezione ormai classica di Rokeach (1973), divide i valori in strumentali e terminali, in riferimento al tipo di scopo da essi perseguito. Essi sono le rappresentazioni cognitive di tre tipi di necessità umane universali, collocabili in diversi domini motivazionali, disposti in un modello integrato. (figura 1 – modello semi-circomplesso)

Per approfondimenti, rimandiamo al lavoro di Capanna, Vecchione e Schwartz (2005), i quali hanno creato anche la versione italiana dello strumento d’analisi dei dieci valori postulati adottato in questa sede: il PVQ (personal values questionnaire). Il questionario è composto da 40 affermazioni, ciascuna delle quali fornisce una breve descrizione di una persona “tipo” e dei suoi obiettivi, aspirazioni o desideri, in modo da descrivere ciascuno dei dieci tipi valoriali proposti da Schwartz.

Oltre che per la sua utilità pratica, si è scelto di utilizzare il PVQ dato che le ricerche che lo usano forniscono un ulteriore contributo alla validazione dello strumento, consentendo inoltre di approfondire le associazioni che legano le preferenze valoriali ad altre caratteristiche personali.

Per la soddisfazione lavorativa, invece, si è fatto riferimento alla definizione ormai classica di Loke (1976), che identifica la soddisfazione lavorativa come un sentimento di piacevolezza, derivante dalla percezione che l’attività professionale svolta, che consente di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro ed è data dai valori personali connessi al lavoro, dall’importanza di tali valori e dalla percezione del lavoratore.

Lo strumento adottato si compone di un adattamento del Minnesota Satisfaction Questionnaire e del Overall Job Satisfaction Scale sviluppati entro un progetto di ricerca coordinato nel 2008 dal prof. F. Marini, dell’Università degli studi di Cagliari. Il questionario è inoltre basato sugli studi di Schleicher et al (2004), secondo il quale le ricerche sulle organizzazioni tendono ad adottare concettualizzazioni troppo semplicistiche riguardo la soddisfazione e l’atteggiamento lavorativo e, in particolare, riguardo la loro consistenza affettivo-cognitiva (ACC). Lo strumento risulta così diviso in due parti:

• Parte I: contiene sedici item per rilevare gli aspetti cognitivi ed emotivi della soddisfazione lavorativa, equamente divisi tra “cognitivi” e “affettivi” e selezionati tra quelli classificati come più “cognitivi” del MSQ e quelli più “affettivi” tratti dall’OJS.

• Parte II: contiene sette ulteriori item relativi a specifici aspetti della soddisfazione lavorativa, utilizzati per mettere a confronto i punteggi ottenuti con i precedenti e determinare le singole fonti di soddisfazione/insoddisfazione lavorativa e il livello di soddisfazione generale percepito.

4 – La ricerca

L’intento principale della ricerca, come detto, è che vi siano delle differenze riguardanti la soddisfazione lavorativa e i valori tra i lavoratori, in rapporto alla diversità della tipologia contrattuale (a tempo indeterminato o “atipica”) che li distingue. Inoltre, si è voluto indagare eventuali relazioni esistenti tra valori e soddisfazione lavorativa e rilevare eventuali peculiarità in rapporto alle variabili socio-anagrafiche considerate.

5 – Partecipanti

I questionari sono stati distribuiti in un numero iniziale di 450 sia in forma cartacea che tramite e-mail, con l’autorizzazione dei dirigenti degli Enti interessati. Il numero di protocolli raccolti è stato determinato dalla disponibilità alla risposta, pari a 388 intervistati con successo.

Tabella 1 – Schema riassuntivo delle caratteristiche del gruppo dei partecipanti

  • 388 intervistati
  • Principali variabili socio-anagrafiche dicotomiche:
  • Tipologia di lavoratori 55% atipici 45% a tempo indeterminato
  • Genere 49% donne 51% uomini
  • Presenza/assenza di figli 50% senza 50% con figli*
  • Età:
  • 18 – 33 anni 36%
  • 34 – 43 anni 33%
  • 44 – 66 anni 31%
  • Titolo di studio conseguito:
  • Basso (scuole medie o qualifica professionale): 37,20%
  • Medio (diploma o equipollenti): 41,20%
  • Alto (Laurea o post-laurea): 26,00%
  • Lavoro svolto:
  • Di basso livello economico: 75,50%
  • Di medio livello economico: 17,30%
  • Di alto livello economico: 7,00%
  • Com’è possibile riscontrare (Tabella 1), il campione risulta ben distribuito tra le principali variabili socio-anagrafiche considerate e per la variabile di maggiore importanza in questa sede, quella della tipologia di lavoratori.

 

Confrontando i dati grezzi, è subito possibile notare la differenza tra il titolo di studio e la ripartizione degli impieghi classificati per la qualità della retribuzione. Si ritiene che un consistente numero di laureati abbia dovuto ripiegare su lavori al disotto del loro titolo di studio, così come hanno fatto i diplomati.

6 – Analisi dei dati e Risultati

L’Analisi delle Componenti Principali (ACP) con rotazione di tipo Promax, applicata ai dati provenienti dalla prima parte del questionario dedicata ai Valori, ha evidenziato quattro fattori tra loro correlati che confermano e sono riconducibili alle quattro macro-aree individuate da Schwartz (1992)

Per il questionario per la soddisfazione lavorativa, invece, l’ACP applicata ai dati, ha evidenziato una struttura monofattoriale. Questa componente ha una struttura interna semantica di tipo “bipolare”, costituita dai due estremi quali la soddisfazione e l’insoddisfazione lavorativa. Per entrambi gli strumenti (Tab. 2) l’Alpha di Cronbach risulta superiore a 0,6 e indica un livello più che accettabile di coerenza interna e di adeguatezza di costrutto dei test

Tabella 2 – Risultati principali sulle quattro dimensioni dei Valori

  • Dimensioni del PVQ Media Dev. St. Alpha
  • Autotrascendenza 4,88 0,71 0,772
  • Conservatorismo 4,24 0,84 0,787
  • Apertura Cambiamento 4,2 0,84 0,805
  • Automiglioramento 3,2 1 0,704
  • Soddisfazione Lavorativa 4,01 2,05 0,767
  • Per quel che riguarda la soddisfazione lavorativa, la MANOVA ha evidenziato delle differenze statisticamente significative tra le medie dei punteggi relativi, con:
  • Rapporto F: 5,802; Significatività: ,016; P: 0,05; gdl: 380.

In particolare, vi sono delle sostanziali differenze a seconda della tipologia contrattuale, ovvero tra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e quelli “atipici”: questi ultimi (Punteggio Z =,097) sembrano generalmente più soddisfatti rispetto a chi ha un contratto a tempo indeterminato (Punteggio Z = -,12), come visibile dal Grafico 1: Punteggi zeta della soddisfazione lavorativa.

Grafico 1 – Punteggi Zeta della soddisfazione lavorativa
In questa sede può essere utile soffermarsi su alcuni elementi emersi dalla relazione con le variabili socio-anagrafiche considerate. La Tabella 3 mostra un riassunto dei principali dati ottenuti, là dove quelli di minore interesse saranno discussi in un’altra sede da definirsi. Da questi dati emerge comunque come la presenza di figli sia un elemento capace di influire fortemente riguardo la soddisfazione del trattamento economico soprattutto nel caso dei i lavori atipici. Anche le opportunità di carriera variano sensibilmente tra uomini e donne, a seconda della tipologia contrattuale e del ruolo che essi hanno soprattutto in base all’età.

Grafico 2 – Andamento della soddisfazione economica

La relazione tra soddisfazione economica, istruzione e tipologia contrattuale merita invece un approfondimento, vista l’importanza della remunerazione economica tra gli elementi che determinano la soddisfazione lavorativa: infatti, come si può osservare dal seguente grafico (Grafico 2), i lavoratori più insoddisfatti sono quelli che lavorano con contratto a tempo indeterminato ed hanno un basso titolo di studio, mentre i più soddisfatti sono quelli sempre con un basso titolo di studio ma che svolgono un lavoro atipico.

Di pari modo, i lavoratori che dispongono di un titolo di studio alto sono più soddisfatti (anche se globalmente meno dei meno istruiti) proprio nella situazione opposta, ovvero quando svolgono un lavoro a tempo indeterminato. Al crescere dell’educazione aumenta quindi la soddisfazione economica per i lavori a tempo indeterminato.

Tabella 3 – Elementi di soddisfazione e variabili

  • Trattamento economico Media
  • Senza figli, Atipici 4,12
  • Con figli, Atipici 3,2
  • Istruzione bassa, a Tempo Indeterminato 2,96
  • Istruzione bassa, Atipici 4,16
  • Opportunità di Carriera Media
  • Uomini, 34-43 anni, Atipici 2,46
  • Donne, 19 e 33 anni, a Tempo Indeterminato 4,63

 

Figura 2 Soddisfazione generale dei lavoratori raggruppati per organizzazione d’origine.

Riguardo i valori, invece, la Manova ha evidenziato una chiara relazione con la tipologia contrattuale, mostrando significative differenze in tutte le macro-aree valoriali identificate da Schwartz (1992) ad eccezione dell’Autoaffermazione, che era appunto emerso come fattore dal minor peso tra i quattro. Si nota quindi come i lavoratori atipici, rispetto ai lavoratori con contratto a tempo indeterminato, abbiano una maggiore propensione all’Apertura al Cambiamento (Medie: 4,24 vs. 4,14) e al Conservatorismo (4,33 vs. 4,14). I lavoratori con contratto a tempo indeterminato, invece, hanno una maggiore propensione verso l’Autotrascendenza (4,90 vs. 4,85).

Grafico 3 – punteggi medi dell’orientamento valoriale rispetto alla tipologia contrattuale

Nel complesso, i risultati sono coerenti con quelli riscontrati dalla letteratura disponibile. Infatti, confrontando i nostri risultati con quelli ottenuti da Capanna et al. (2005), si mette in evidenza e si conferma in questa sede come l’età mostri una relazione positiva con i valori appartenenti alla dimensione del Conservatorismo e una relazione negativa con l’Apertura al cambiamento: le persone anziane tendono ad essere più conservatrici e a ricercare meno l’azione, sfide e stimoli che sono invece importanti per i più giovani.

Conservatorismo e Apertura al Cambiamento sono anche le dimensioni che risultano maggiormente correlate con l’educazione, infatti i soggetti con un grado d’istruzione meno elevato assegnano maggiore importanza all’insieme di valori che costituiscono il Conservatorismo. Invece, si nota un aumento dell’Autodirezione assieme all’educazione.

Anche le correlazioni con il genere sembrano in linea con i risultati del 2005: gli uomini assegnano punteggi più elevati ai valori strumentali al raggiungimento di uno status più elevato e le donne tendono maggiormente verso il raggiungimento del benessere.

La Tabella 4 mostra un riassunto di quanto illustrato tramite le direzioni espresse in punteggi zeta.

Tabella 4 – Variabili influenti sull’orientamento valoriale

  • Conservatorismo Z score
  • Istruzione bassa; Atipico 0,640
  • Istruzione alta; Atipico 0,627
  • Presenza di figli, Atipico 0,668
  • Presenza di figli, A Tempo Indeterminato -0,115
  • Automiglioramento Z score
  • Assenza di figli, Atipico 0,182
  • Presenza di figli, Atipico -0,322


6 – Considerazioni conclusive

Nell’insieme i risultati della ricerca evidenziano innanzitutto come la struttura dei valori sia coerente, confermando quanto evidenziato in letteratura anche per il nostro gruppo d’intervistati.
Per quanto riguarda lo studio della soddisfazione lavorativa nei due gruppi di lavoratori da noi considerati, il quadro dei risultati emersi appare tendenzialmente articolato e complesso. Infatti, ci si poteva attendere la maggior soddisfazione tra i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, soprattutto nello scenario attuale caratterizzato da una generale crisi economica e dalle relative incertezze e dall’assenza di riforme radicali del mondo del lavoro negli ultimi due anni. Invece, i dati ottenuti ci mostrano un quadro di generale insoddisfazione (punteggio medio dell’intero campione = 3,976 < 4, su una scala Likert a 7 punti) dove la popolazione dei lavoratori atipici è “meno insoddisfatta”.

Un primo elemento di soddisfazione lo troviamo nella distinzione operata da Borgogni et al. (2003), che riguarda anche il rapporto tra lavoro atipico e stress derivante dall’incertezza. L’autrice divide tra pseudo-dipendenti e pseudo-imprenditori ove solo questi ultimi hanno sia le risorse economiche a monte che le skills individuali per poter agire quasi come liberi professionisti, imprenditori di sé stessi: la soddisfazione per la propria indipendenza e la propria auto-realizzazione possono largamente compensare la mancanza di un lavoro più sicuro, però più rigido e vincolante.

I pseudo-dipendenti, invece, risultano più vulnerabili al precariato, privi di flessibilità e maggiormente in balia degli eventi ma anche qui è possibile riscontrare possibili elementi di soddisfazione. Infatti, i pseudo-dipendenti sono stati largamente rappresentati dai nostri partecipanti alla ricerca, spesso tramite i lavoratori con contratto a tempo determinato assunti dal Comune di Cagliari. Essi hanno scarse aspettative di carriera, dovute anche ad un livello di istruzione molto basso (spesso non oltre la quinta elementare e talvolta analfabeti di ritorno) e tipiche di chi vede nel precariato un miglioramento rispetto alla condizione di disoccupato.
Tale realtà è diffusa nel contesto sardo, non particolarmente ricco di possibilità lavorative, ma le cui disastrose conseguenze a vari livelli per l’ex-lavorator, ad esempio per l’autostima e i rapporti sociali, sono ben note (Eisenberg e Lazarsfeld, 1938). Per questi motivi lo pseudo-dipendente vede nel lavoro precario già un miglioramento rispetto alla condizione di disoccupato: un “accontentarsi” tipico delle categorie sociali deboli, con scarso potere contrattuale. Per contro, i lavoratori che svolgono lavori analoghi pur avendo un alto titolo di studio probabilmente li percepiscono come una necessità dettata dalle circostanze, una situazione temporanea dalla quale sperano di poter sfuggire per essere poi “regolarizzati”.

Ancora, molti lavoratori atipici, che costituivano l’insieme dei nostri partecipanti alla ricerca, erano giovani uomini e donne i quali, pur facendo ancora parte delle categorie sociali deboli, possono beneficiare dell’autonomia e dell’indipendenza dei lavori atipici avendo al tempo stesso risorse estrinseche per far fronte alla precarietà, identificabili nella famiglia d’origine o nel proprio partner, che svolgono la funzione di ammortizzatori sociali in vari modi. Infatti, per i giovani maschi che più delle donne mirano all’indipendenza, il supporto familiare consente di vivere il precariato come una fase di ingresso al mondo del lavoro e il primo lavoro in età giovanile è fonte di grande soddisfazione, mentre le donne, soprattutto quando coinvolte in una relazione sentimentale duratura, vedono nel precariato una soluzione ideale per soddisfare i propri bisogni di auto-realizzazione senza dover rinunciare alla cura della famiglia e dei figli, o senza venire accusate di negligenza verso gli stessi.

Per contro, soprattutto gli uomini adulti che svolgono un lavoro atipico sono più soggetti alla pressione sociale del loro ruolo di capofamiglia, la responsabilità economica del mantenimento del nucleo familiare e dei figli (ruolo stereotipato del “male breadwiner”), bisogno che il lavoro atipico di solito non è in grado di soddisfare (come sopra evidenziato tramite la Tab. 3).

Inoltre, non si può escludere la soddisfazione riscontrata da parte dei lavoratori atipici, soprattutto negli pseudo-dipendenti, possa essere stata amplificata dall’infondato timore che eventuali valutazioni negative potessero pregiudicare il rinnovo del loro contratto di lavoro. Per contro, è plausibile ipotizzare che i lavoratori con contratto a tempo indeterminato si siano sentiti più sicuri relativamente al loro posto di lavoro e, quindi, nella condizione di poterlo criticare più aspramente.

Riguardo i valori, invece, in questa sede si commenta un unico elemento: il contrasto tra le macro-aree valoriali identificate da Schwartz (1992). Infatti, possiamo vedere dal Grafico 3, precedentemente illustrato, come entrambe le categorie di lavoratori mostrino un’elevata propensione verso due aree opposte: quella dell’Apertura al Cambiamento e quella del Conservatorismo. I lavoratori atipici in particolare danno un peso maggiore a ciascuna delle due aree, in particolare al Conservatorismo, là dove per i lavoratori tradizionali,a tempo indeterminato, risultano perfettamente in equilibrio. Dato che le medie superano il valore mediano (3,5) della scala Likert a 6 punti usata dall’autore, possiamo concludere che entrambe le categorie dei lavoratori vivano un conflitto tra ciò che devono essere e ciò a cui ambiscono ma che le rispettive tipologie di contratto non possono offrire. In particolare, i lavoratori atipici devono essere versatili e adattivi (Apertura al Cambiamento) ma desiderano ancor di più la stabilità (Conservatorismo) che il loro lavoro non può fornire.

Come considerazione conclusiva, ci si augura che i risultati di questa ricerca non vengano interpretati dai destinatari diretti o indiretti della restituzione come una risposta positiva dei lavoratori alle nuove tipologie contrattuali. Piuttosto, è la dimostrazione della complessità del fenomeno e, nelle nostre interpretazioni, della globale insoddisfazione dei lavoratori intervistati.

8 – Bibliografia

  • Accornero A., (2000), Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino.
  • Bellotto M., (1997), Valori e lavoro. Milano, Franco Angeli.
  • Boccia A., (2007), Il mercato del lavoro in Italia, Napoli, A.g.n.
  • Borgogni L., Falcone S., Mastrorilli A., Di Donato F., (2003), “Autoefficacia e lavoro temporaneo”, in Sviluppo e organizzazione, 195.
  • Capanna C., Vecchione M., Schwartz S., (2005), “La misura dei valori, un contributo alla validazione del Portrait Values Questionnaire su un campione italiano”, Bollettino di Psicologia Applicata, 246, 29-41.
  • Eisenberg P., Lazarsfeld P., (1938), “The Psychological effects of unemployment”, in Psychological bulletin, 35.
  • Elizur D., e Sagie, A., (1999), “Facets of personal values, A structural analysis of life and work values”. Applied Psychology, An International Review, 48 (1), 73–83.
  • Locke E., (1969, 1976), “Nature and Causes of Job Satisfaction”, in M. Dunnette (a cura di),Handbook of industrial and organizational psychology 1297–1349, Chicago, Rand McNally.
  • Rokeach M., (1973), The nature of human values, New York, The Free Press.
  • Schleicher D.J., Watt J.D., Greguras G.J., (2004), “Reexamining the Job Satisfaction–Performance Relationship, The Complexity of Attitudes”, in Journal of Applied Psychology 2004, 89 (1), 165–177.
  • Selmer J., De Leon C., (1996), “Parent cultural control through organizational acculturation, MCN employees learning new work values in foreign business subsidiaries”, in Journal of Organizationa Behaviour, 17, pagg. 557–572.
  • Scwhartz S.H., (1992), “Universal in the content and structure of values, theoretical advances and empirical tests in 20 countries”, in M.P. Zanna (a cura di), Advances in experimental social psychology, vol 25, New York, Academic Press.
  • Scwhartz S.H., (1999), “A theory of cultural values and some implication for work”, in Applied Psychology, an International Review, 48(1), pagg. 23–47.